Creme solari, come usarle
Quando si parla di raggi UV li si mette tutti nello stesso calderone, ma in realtà sono molto diversi fra loro, per quantità, intensità e nocività.
Gli UVA sono preponderanti. Pensate che costituiscono più del 90% per cento dei raggi UV che incontriamo ogni giorno. Il resto è lasciato agli UVB che,
fortunatamente, vengono bloccati per la maggior parte dal grande filtro solare che sta sopra alle nostre teste, lo strato di ozono. Gli Uvb sono pochi, si fermano negli strati più superficiali della pelle, ma sono i principali responsabili delle scottature. Volendo trovargli trovar loro un soprannome, potremmo chiamarli «raggi ultraviolenti», motivo per cui, storicamente, le creme solari si sono concentrate su di loro. Gli UVA sono più subdoli, perché non ci fanno scottare, ma penetrano nella pelle in profondità e lì, raggio dopo raggio, stimolano la formazione di radicali liberi che danneggiano sia le strutture che «tengono su» la pelle, provocando rughe e invecchiamento, sia il DNA delle cellule, inducendo mutazioni che aumentano il rischio di sviluppare tumori.
Attenzione, perché i raggi UVA e UVB hanno anche comportamenti diversi nei confronti degli schermi che noi frapponiamo fra noi e loro. Il vetro, per esempio, riesce a fermare gli UVB, ma fa passare gli UVA. Il finestrino dell’auto, quindi, ci evita le scottature, ma non evita gli effetti dannosi sulla pelle e sul DNA degli UVA.
CHE COS’È L’SPF
Nel 2015, la Royal Pharmaceutical Society ha condotto un sondaggio su 2000 persone adulte con l’obiettivo di capire quali conoscenze avessero sulle creme solari. Per esempio, solo otto persone su cento sapevano che l’SPF si riferisce solo ed esclusivamente alla protezione nei confronti dei raggi UVB e nulla dice, invece, su quanto una crema protegga anche dagli UVA. Voi lo sapevate? D’altronde, un intervistato su quattro non sa proprio che cosa sia l’SPF e un inglese su tre ha difficoltà a capire quanta crema mettere. È pensiero comune che il numero di SPF indichi di quante volte possiamo moltiplicare il tempo passato al sole prima di bruciarci. È pensiero comune, ma è sbagliato.
L’SPF è un numero che indica la quantità di radiazioni UVB “fermate” dal filtro solare: un SPF 15 lascerà passare un quindicesimo delle radiazioni UVB, mentre un SPF 50 ne lascerà passare solo un cinquantesimo. Più è alto il numero, meno UVB passano. Tutto questo vale se la crema viene applicata nelle giuste quantità e con la giusta frequenza, però.
E GLI UVA?
Tutto quello che abbiamo visto fin qui vale, appunto, solo per gli UVB. Se volete una crema che protegga anche dagli UVA dovete cercarne una che lo indichi esplicitamente con l’equivalente dell’SPF, l’»UVA PF». Se compare solo un riferimento generico agli UVA del tipo «protezione UVA/UVB» o un bollino rotondo con la scritta UVA al centro, vuol dire, per la legge europea, che contiene un filtro anti-UVA pari ad almeno un terzo dell’SPF del fattore di protezione solare indicato sull’etichetta, quindi se abbiamo una crema con SPF 30, l’UVA-PF sarà come minimo di 10
QUANTA METTERNE E OGNI QUANTO?
I dati ci dicono che una persona media dovrebbe spalmarne sul corpo circa 30 grammi, l’equivalente di una pallina da ping pong che, tradotto in flaconi, significa che una confezione da 200 ml dovrebbe bastare per appena sei applicazioni. Dai sondaggi vediamo, però, che mediamente ne applichiamo da metà a un quarto e questo, dal punto di vista pratico, si traduce in una riduzione drastica della protezione.
Per dimostrarlo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Dermatologia dell’Università di San Paolo in Brasile ha spalmato diverse quantità di crema con protezione 15 o 30 su una quarantina di volontari usando la tecnica utilizzata per il calcolo dell’SPF, scoprendo che se mettiamo la metà della dose consigliata della crema con protezione 30, non otteniamo una protezione pari alla metà, cioè a 15, ma una protezione pari alla radice quadrata di 30, cioè circa 5. Se ne mettiamo un quarto dobbiamo ripetere l’operazione arrivando a un SPF effettivo di poco più di 2. A quel punto, fare distinzioni fra un SPF e l’altro, fra un fattore 30, 50 o addirittura 100 è del tutto inutile perché la protezione sarà sempre inadeguata.
Arriviamo quindi all’ultimo problema: ogni quanto dovremmo ripetere l’applicazione per essere sicuri di non scottarci? Sono stati fatti molti esperimenti per capire quale strategia adottare per riuscire a raggiungere una protezione adeguata.
Al Newcastle General Hospital, nel Regno Unito, sono state fatte delle prove partendo da un’applicazione della metà della dose consigliata (cioè 1 milligrammo per centimetro quadrato) misurando, di volta in volta, l’effetto sulla pelle dell’esposizione al sole. Dai risultati, si è visto che la protezione migliore si ha applicando la crema prima di esporsi al sole, per esempio un quarto d’ora o mezz’ora prima di uscire di casa per
andare in spiaggia, e riapplicandola almeno una volta una ventina di minuti dopo, magari appena arrivati in spiaggia. In questo modo, anche se la prima «passata» è insufficiente, con la seconda si compensa arrivando a una buona protezione complessiva. Successivamente si può applicare a intervalli più diluiti nel tempo (ogni due ore, per esempio) ricordandosi, però, di rimetterla dopo ogni bagno, anche se c’è scritto che la crema è «resistente all’acqua».
Fonte: La Ceretta di Occam di Beatrice Mautino